Onorevoli Colleghi! - I dirigenti di aziende industriali in quiescenza fruiscono di una pensione - già erogata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali (INPDAI) e, dal 1o gennaio 2003, dall'Istituto nazionale della previdenza sociale - che è calcolata sulla media della retribuzione pensionabile degli ultimi anni presi in considerazione sulla base delle disposizioni legislative succedutesi nel tempo.
      La retribuzione dei dirigenti di aziende industriali è soggetta a contribuzione ed è «pensionabile» soltanto nel limite di un massimale fissato periodicamente con un provvedimento del Ministro del lavoro e della previdenza sociale ad ogni rinnovo contrattuale: la parte della retribuzione eccedente il tetto massimo non è, pertanto, assoggettata al contributo previdenziale e non viene computata ai fini del calcolo della pensione.
      L'importo del massimale è stato, fino alla metà degli anni settanta, di valore pari a 2,5/3 volte il minimo contrattuale, così che la quasi totalità della retribuzione risultava contenuta al di sotto del medesimo restando interamente assoggettata a contributi: in tale modo era assicurata una sostanziale equità.
      In seguito ai rinnovi contrattuali successivi al 1974, il minimo definito dal contratto collettivo nazionale di lavoro è stato progressivamente incrementato in relazione all'andamento del costo della vita, mentre il massimale non è stato adeguato con uguale dinamica: in particolare, dal 1980 i due valori si sono avvicinati fino quasi a coincidere, con la conseguenza che quote sempre maggiori delle retribuzioni

 

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effettive, ormai ben al di sopra dei massimali stabiliti, sono state escluse dal calcolo della pensione.
      Questa situazione anomala ha determinato un appiattimento sempre più sensibile delle pensioni erogate.
      Il problema, seppure di diversa origine, si presenta analogo, quanto ad effetti, al tema più generale dei «tetti pensionistici», dove il crescente divario tra retribuzione imponibile e limite massimo di retribuzione annua pensionabile ha determinato una compressione sempre maggiore dei trattamenti pensionistici.
      Ma se per le altre categorie di lavoratori l'articolo 21 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (nell'interpretazione adeguatrice datane dalla Corte costituzionale con sentenza n. 72 del 1990), ha definitivamente corretto le distorsioni del sistema dei «tetti pensionistici», non altrettanto può dirsi per i dirigenti di aziende industriali, esclusi dall'applicabilità di queste norme a causa della peculiarità del loro sistema previdenziale.
      Non è servito a dare soluzione al problema il decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160, il quale, per la verità, ha complicato ancora più la questione, marcando maggiormente la disparità di trattamento già esistente tra i dirigenti andati in pensione prima del 1o gennaio 1988 e quelli andati in pensione dopo tale data.
      Secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2-bis, del citato decreto-legge n. 86 del 1988, infatti, il calcolo delle retribuzioni pensionabili viene effettuato in relazione al quinquennio precedente di contribuzione e, a partire dal 1o gennaio 1988, le pensioni dei dirigenti sono calcolate entro un limite pari al doppio dei massimali vigenti nel quinquennio anteriore a tale data; il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 25 luglio 1988, n. 422 - attuativo del comma 2 del citato articolo 3 - ha disposto, inoltre, che i massimali fossero presi in considerazione tout court per il doppio del loro importo, senza alcun aggravio contributivo per i beneficiari.
      Pertanto, mentre i dirigenti collocati in pensione fino al dicembre 1987 hanno avuto un trattamento di quiescenza calcolato con riferimento ai soli massimali vigenti negli anni presi in considerazione per il calcolo delle pensioni, i colleghi pensionati dal 1o gennaio 1988 si sono giovati di un importo raddoppiato dei medesimi massimali, senza che per questo abbiano versato maggiori contributi: tutto ciò ha comportato un trattamento economico nettamente diversificato.
      A partire dal 1o gennaio 1988, peraltro, sono entrati in vigore i nuovi massimali (più elevati) che hanno preso a divergere nuovamente in modo sensibile dai minimi contrattuali, ripristinando la situazione antecedente agli anni settanta; ai contributi versati nel medesimo arco di tempo (quinquennio 1983-1987) è stato attribuito un valore doppio a valere esclusivamente per il computo delle pensioni aventi decorrenza dal 1o gennaio 1988 in poi. Il quinquennio considerato era lo stesso per i pensionati ante e post 1988, ma - pur godendo di massimali raddoppiati - questi ultimi avevano versato gli stessi contributi.
      Una analoga considerazione va fatta per i pensionati INPDAI anteriormente al quinquennio 1983-1987: coloro che sono andati in pensione prima del 1o gennaio 1983, infatti, sono stati danneggiati dalla compressione dei massimali e quindi delle pensioni, con l'aggravante che fino al 1984 questi trattamenti pensionistici sono stati oggetto di una perequazione automatica in quota fissa, ovvero completamente indipendente dall'importo della pensione percepita, con un conseguente appiattimento della stessa.
      La stessa citata sentenza della Corte costituzionale n. 72 del 1990 sottolinea il carattere «illogico» e «ingiustificato» di quanto disposto dal decreto-legge n. 86 del 1988 e la necessità per il legislatore di procedere - da un lato - ad «un intervento di razionalizzazione complessiva della materia volto a ripristinare la legittimità costituzionale del tessuto normativo» e - dall'altro - a provvedere ad armonizzare l'andamento dei trattamenti pensionistici in questione.
 

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      Se, dunque, dal 1995 in poi - attraverso vari interventi normativi finalizzati a riformare il sistema previdenziale in Italia - si è tentato di porre mano alla razionalizzazione del sistema, con la presente proposta di legge si vuole eliminare la causa della ingiustificata disparità operata ai danni di alcune categorie di pensionati INPDAI.
      Tale obiettivo comporta la necessità di fissare al 250 per cento il rapporto tra minimale e massimale ai fini contributivi e pensionistici da osservare ad ogni rinnovo contrattuale; di garantire il completo adeguamento delle pensioni all'effettivo andamento del costo della vita e della dinamica retributiva; di attenuare, infine, le differenze dei trattamenti pensionistici - a parità di requisiti - derivanti dalla diversa decorrenza: a questo proposito viene esteso il calcolo applicato alle pensioni aventi decorrenza dal 1o gennaio 1988 anche a quelle con decorrenza compresa tra luglio 1982 e dicembre 1987 e viene operato il ripristino di una equa corrispondenza tra i trattamenti pensionistici aventi decorrenza anteriore al 1o luglio 1982 e quelli con decorrenza successiva.
 

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